Servire lo Stato, identificando, in esso, la personalità viva della nostra Patria, è dovere di ciascun cittadino, che non dica soltanto a parole di amare il suo Paese.
Nel Vangelo si legge che “non quelli che dicono Signore, Signore entreranno le regno dei cieli, ma coloro che faranno la volontà del Padre che è nei cieli”. Parole sagge che condannano la faciloneria di coloro che si limitano a considerare il proprio dovere come una bella preghiera recitata con la voce, riserbandosi, poi, il diritto di fare, con le azioni, quanto credono più opportuno per il proprio interesse.
Anche nei confronti dello Stato si può peccare in cotal modo. E così, chi si inorgoglisse si conoscere a memoria la costituzione dello Stato italiano e con i fatti, poi, discordasse, a suo piacere, dalle norme imparate, non sarebbe diverso da quel tale del Vangelo, di cui potrebbe dirsi – in termini più chiari – che predica bene e razzola male.
Tuttavia, se ogni cittadino, in linea generale, è tenuto alla leale osservanza delle norme che regolamentano la vita sociale, in maniera particolare, e con molta più ragione, vi è obbligato il cittadino che vive, rappresenta o è a capo delle istituzioni statuali. Perché se per tutti i membri di una nazione, lo Stato si sostanzia nella nozione di Patria, viva ed operante, per il cittadino che opera nei e attraverso i suoi poteri, lo Stato diviene, oltretutto, l’Ente supremo di cui esprime la volontà e da cui riceve una remunerazione.
A qualsiasi occhio risulterebbe immorale la condotta di chi pretendesse la paga senza aver lavorato quanto e come pattuito nel regolare contratto, o avendo sottratto tempo, lavoro e denaro a detrimento del suo datore di lavoro. Allo stesso modo, il cittadino che entri a far parte di una delle tante istituzioni politiche dello Stato, deve soddisfare, in tutto e per tutto, l’impegno assunto; e ciò per l’elementare ragione che il suo diritto al compenso è in stretta proporzione al diritto dello Stato di esigere, da lui, l’adempimento del dovere convenuto.
Ma ben altro senso di moralità e di dignità deve avere il rappresentante delle istituzioni o il capo dello Stato, nell’espletamento delle sue mansioni.
Come lo Stato è l’espressione viva della Nazione, così l’uomo politico può considerarsi la mano pratica, rectius l’azione reale e fattivo dello stesso Stato nel governo di tutti i propri cittadini. In altre parole, mentre lo Stato è la mente che dirige, il politico è la volontà producente, che realizza le direttive dello Stato nei riguardi di tutti i componenti la nazione medesima.
Il dovere incombente ad ogni buon reggitore dello Stato, ivi compreso il Presidente della Repubblica, balza, quindi, alla mente, con piena evidenza e può indicarsi con due espressioni fondamentali: senso di responsabilità ed esattezza coscienziosa nel compimento del proprio dovere.
Senso di responsabilità nel misurare e sentire l’importanza della parte che si riveste nel governo del Paese. Poiché attuare, pur nelle più minuscole cose, la saggezza delle regole costituite è partecipazione al governo dello Stato. L’esatto e cosciente esercizio del proprio dovere verrà, di conseguenza, assicurato, in quanto è proprio questo senso di responsabilità che forma tutt’uno con la coscienza o dignità morale, che deve presiedere ad ogni azione del buon politico.
Si potrebbe ben dire che lo Stato è quello che lo rendono i suoi amministratori, tale e tanta è l’importanza che lo Stato sia servito con rettitudine da costoro. Talché, degnamente è stimato e qualificato quello Stato che si valga dell’opera cosciente dei propri reggitori; e, viceversa, non potrebbe ispirare fiducia alcuna quello Stato che si reggesse sull’operato di cittadini disonesti.
La storia e la cronaca ci ammaestrano presentandoci numerosissimi esempi di tal genere. Valga per tutti il più conosciuto: l’impero romano, che visse saldo e fecondo finché fu retto e coadiuvato da uomini sobri e onesti, quali Cincinnato, Attilio Regolo, i fratelli Gracchi e molti altri che non è il caso di citare; ma si sfasciò miseramente allorché reggitori e funzionari preposero al proprio dovere, la licenza e la disonestà del proprio tornaconto.
Responsabilità e coscienza del dovere è, dunque, tutto ciò che lo Stato richiede dai propri uomini politici. Ma il Presidente della Repubblica è, inoltre, il Capo dello Stato e il rappresentante dell’unità nazionale e deve svolgere le sue funzioni con fedeltà alla Repubblica ed osservanza della Costituzione e delle leggi.
Non si tratta di prescrizioni difficili, ma devono essere sentite e, quel che più conta, praticate con assiduità, quotidianamente, se si vuole che il benessere e la stima di tutta una Nazione siano non parole vane o menzogne, ma fatti concreti e via sicura al progressivo e costante innalzarsi della propria Patria e, con essa, della propria individualità.
Il nostro più deferente e cordiale augurio di buon lavoro al neo-eletto Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, affinché il suo senso di responsabilità possa trovare tangibile compimento nell’esplicazione coscienziosa del suo alto e preclaro dovere istituzionale, per il progresso civile, sociale e morale della nostra comunità nazionale, alla quale potremo davvero sentirci orgogliosi di appartenere, con la speranza di un avvenire scevro di ombre, per lo sviluppo della vita economica, politica e democratica del nostro Paese.