Il 28 dicembre 2013 a Camerota si è svolto il primo meeting teatrale, intitolato a Don Carmelo Tucci, aperto con una commedia di Eduardo. Visualizza il video della serata.
Discorso commemorativo dell’Autore in onore di don Carmelo Tucci
“Si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos”: se il prete è santo, preghi per noi; se è dotto, ci insegni; se è prudente, ci guidi. Questa frase, attribuita ad uno dei Padri, a un dottore della Chiesa, è un’espressione che ben si conforma, e si confà all’idea di descrivere e tratteggiare la figura, il profilo di don Carmelo Tucci.
É per me motivo di onore e di commozione ricordare, qui, il nome di uno dei sacerdoti più distinti ed eccellenti che le parrocchie di Camerota abbiano avuto nella loro storia, al quale rivolgiamo il nostro tributo, il nostro attestato di affetto, oggi, in occasione di due principali ricorrenze che lo riguardano: la prima è quella relativa all’11° anno dalla sua immatura scomparsa, e la seconda concerne il quarantennale della benevola concessione della Chiesa di S. Maria delle Grazie, e, poi, della Chiesa S. Daniele Profeta, al gruppo teatrale camerotano, per le sue rappresentazioni sceniche.
A don Carmelo, sono personalmente legato da un particolare vincolo di edificante stima, per alcuni ordini di motivi: per avermi introdotto nella comunità cristiana attraverso il sacramento del battesimo, per avermi impartito l’eucarestia, per avermi preparato a ricevere la cresima e per averlo avuto quale docente di religione nella scuola. E alcuni capitoli di un mio saggio critico di Teologia Contemporanea sono improntati ed ispirati a dei suoi insegnamenti dottrinali. Il suo sacerdozio ha coinciso, in larga parte, col pontificato di Giovanni Paolo II, del cui Magistero, don Carmelo, si era reso interprete e portatore allo stesso tempo, soprattutto in relazione alla difesa dei principi umani del diritto alla vita, alla libertà e alla dignità della persona. Ma il suo fondamentale modello di riferimento era anche quello rappresentato da altre due figure eminenti del ‘900: Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta, che egli identificava con le tre virtù teologali: Padre Pio con la fede, Giovanni Paolo II con la speranza e Madre Teresa con la carità. E don Carmelo riuniva in sé la triade teologale, perché la sua esistenza fu una vita di carità, per la fede, nella speranza. La sua vocazione era centrata sull’idea che la fede vede l’invisibile, la speranza ottiene ciò che non ha, la carità dà ciò che l’altro non ha, rivelando egli, nell’esercizio del suo ministero, quelle doti che si manifestavano in tutte le espressioni della sua vita: la fortezza, lo spirito di servizio, di fede e di fiducia, in Dio e nell’uomo. Per 30 anni, la comunità di Camerota ha ammirato, da vicino, e goduto del beneficio delle sue qualità religiose, morali e culturali: l’intelligenza, la saggezza, l’equilibrio, la prudenza, e, talvolta, la diffidenza di sé, ma anche il coraggio e la forza, laddove fossero non riconosciuti, o, perfino, lesi i valori essenziali della vita umana. E tutti noi abbiamo costantemente e sistematicamente impresso nella memoria – individuale e collettiva – il ricordo di ciò che ha compiuto, ha detto e ha scritto, don Carmelo.
Il mio ricordo di lui è quello tanto di sacerdote, quanto di pastore. Di sacerdote pio, di una pietà illuminata, coltivata, anche tenera verso il Tabernacolo; ed era un pastore che possedeva l’ansia, forse, il tormento nello spirito, e il timore e, insieme, la preoccupazione di non arrivare a tutti nel medesimo modo. Ha dispiegato ed esteso il suo impegno non solo sul piano ministeriale, ma anche su quello sociale, civile, culturale, pedagogico, artistico, estetico. Dal punto di vista sociale e civile, di don Carmelo è nota la sua attenzione, il suo rispetto verso i diritti umani e la dignità della persona, ritenendo egli che ogni autorità – civile, politica – debba esercitare il suo potere per l’attuazione del bene comune. Sotto l’aspetto pedagogico, ci ha comunicato l’idea che la fede è il contrassegno distintivo del cristiano, è il suo criterio identitario, e il cristiano è il fedele, essendo la fede la “porta” della verità, intesa come rivelazione (alétheia), e non come deduzione razionale, essendo la fede ciò che apre all’uomo l’agape. Nella prospettiva culturale, don Carmelo non ha mai nascosto, ma ha sempre esternato, la sua sensibilità e propensione per l’arte, l’estetica, la creatività, innanzitutto locale, sia per quanto riguarda la pittura, sia per quanto riguarda la musica (essendo membro della schola cantorum, prima, e del coro polifonico, poi, avendo egli studiato canto al Conservatorio Musicale), sia per quanto riguarda il teatro (concedendo, già dal 1973, la disponibilità della chiesa di Camerota per la preparazione, l’organizzazione, la rappresentazione e la messa in scena di opere ed azioni teatrali).
Vedete, è ben lungi da me la volontà di svolgere una oratio funebris di don Carmelo, peraltro, a 11 anni dalla sua dipartita, tanto più perché egli era l’Antiretorico per antonomasia, avendo fatto della sobrietà e discrezione l’elemento centrale, la cifra essenziale della sua esistenza. Però, non posso, non possiamo noi giovani esimerci dall’esprimere un sentimento che è tra quelli più elevati che risiedono nell’animo umano: la gratitudine e la riconoscenza. Noi giovani gli siamo grati per averci insegnato la nobiltà del lavoro, impiegando tutte le proprie capacità ed energie a favore degli altri; per averci educato a vivere ed agire con coerenza, con impegno morale e civile, con senso di responsabilità (etica); per averci trasmesso l’autentico valore della vita umana, che è quello del dono, da condividere; per essersi speso costantemente, con assoluta dedizione ed irrevocabile sacrificio, rappresentando, mostrandosi ununto fermo nelle esistenze di noi ragazzi e per aver tollerato, pazientemente, delusioni, amarezze, incomprensioni; per essere stato uomo di speranze e testimone di, per averci dato la fiducia, per aver saputo guardare nel nostro cuore, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze; gli siamo grati per il valore che la sua opera e il suo ricordo rappresentano e rappresenteranno per la comunità e per ciascuno di noi.
Ebbene, ciò che don Carmelo ha fatto è rimasto e lo seguirà (“opera illius sequuntur illum”): il suo interesse e il suo impegno in vari ambiti, la luce che promanava dalle sue omelie, la sua attività intensa diretta ad ogni settore, la sua fedeltà alla sua vocazione e missione sacerdotale.
Ecco, la promessa e l’impegno per tutti noi, giovani e meno giovani, sono quelli per cui l’opera e la memoria di don Carmelo rimarranno, qui, ancora oggi e domani e sempre (hic et nunc et semper) desti e vivi.
Concludo rivolgendo un cordiale e sentito augurio a tutti voi per il nuovo anno 2014, riferendo un breve passaggio della Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, del Concilio Ecumenico Vaticano II, in riferimento alla figura del prete: “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.